La cucina bellunese è una cucina di montagna, di terra dolomitica: sobria, semplice, essenziale, ma non per questo povera, con tutti quegli ingredienti, davvero genuini, che alle volte assumono contorni di rarità.
Le erbe sono degne di massima attenzione ed uso; le verdure, i legumi, i frutti del bosco permettono primi piatti deliziosi: minestre con fagioli, ortiche, funghi, orzo, oppure riso accompagnato dalla zucca o dal latte.
Pane raffermo con l’aggiunta di olio di oliva, sale e salvia salutano un piatto tipico della zona, la panada; gli gnocchi di zucca con la ricotta affumicata e grattugiata sopra, bagnando tutto con burro fuso.
Gustosissima, specie se accompagnata con patate, salsicce, formaggi fritti e non, è la polenta di farina gialla, cotta nel paiolo in rame e che, una volta rovesciata sul taier, lascia le croste, tramutate in gustosa minestra con l’aggiunta di aglio e spinaci.
Sono tutte semplici proposte di chi doveva necessariamente fare i conti con l’esiguità di quanto aveva a disposizione.
Le tradizioni vengono rispettate anche nei secondi piatti con il coniglio in vari aromi, il pollo, l’immancabile selvaggina ed il classico pastin, impasto del salame insaporito di salvia e rosolato; oppure il cavolo verza, accompagnato da costicine di maiale.
Deliziatevi con i kodinzon, delicate sfoglie di mele lasciate essiccare al sole, lo sbatudin, sorta di gustosissimo energetico con tuorlo d’uovo e zucchero sbattuti insieme.
I digestivi e la regina grappa traggono dai frutti del bosco profumi e gusti fantastici.
La cucina altoatesina è ricca di elementi genuini e sfiziosi che ricalcano in parte gusti e sapori austriaci.
Essa riesce a creare, partendo da piatti molto semplici, delle squisite combinazioni che riescono a soddisfare anche i palati più difficili.
In questa terra di confine, aperta e cordiale con tutti, le specialità della tradizione gastronomica sintetizzano le influenze
e gli apporti ricevuti da culture profondamente diverse, così la lista delle vivande spazia da piatti di stampo decisamente
austro-tirolese ad eccellenti interpretazioni della classica cucina italiana.
Gli ingredienti principali sono sicuramente le farine (di granoturco, di grano saraceno, di frumento e di segale) con le quali vengono prodotte numerose qualità di pane
(di sesamo, al cumino, all'orzo ed integrale).
E poi ancora le carni di maiale, la selvaggina e numerosi tipi di squisiti formaggi, trote e pesce persico, crauti, cavoli e patate.
Non dimentichiamo le diverse specie di erbe aromatiche come il cerfoglio, la valerianella, il timo, l'erba cipollina e i germogli di rapa che vengono molto utilizzati in cucina.
Famosissimi e gustosi i Canederli (Knödel), che variano in consistenza e sapore, a seconda degli ingredienti: allo speck,
con gli spinaci, con la ricotta, con il formaggio, solitamente presentati in brodo ma possono anche fungere da contorno.
Simili ai canederli sono gli Schluntzkrapten, una specie di ravioli con il ripieno di spinaci.
Squisite sono le omelette, farcite con marmellata o con mele, ma più caratteristico è il Kaiserschmarrn con uvetta, pinoli
e zucchero a velo.
Fra i dolci bisogna inoltre ricordare lo Strudel che può venire preparato con il ripieno di mele, ciliege,
albicocche, pere o uva, oppure imbottito di ricotta, semi di papavero...
Un'altra prelibatezza è la Torta di Grano Saraceno, seguita dai classici Krapfen e direttamente dalla tradizione austriaca troviamo pure la Sacher Torte.
Da sempre si pensa che la cucina di montagna sia povera di forma e gusto, ma in realtà è sostanziosa e per certi versi essenziale.
C'è modo e modo di preparare i piatti trentini, dai canederli alla polenta con la cacciagione ed i funghi, agli arrosti con salsiccie, ai crauti accompagnati da diversi tagli di carne del maiale.
E quest'ultimo è anche alla base degli insaccati e di altri piatti, come ad esempio lo sguazet, succoso spezzatino di cuore, fegato e polmone.
Molte sono le varianti per cucinare le verdure degli orti e dei campi di montagna come verze, cavoli cappucci, carote.
Ogni luogo prepara gli stessi piatti in modi diversi, ma in sostanza questo territorio è omogeneo sotto il punto di vista culinario, solo in certe valli si è riusciti a mantenere delle tradizioni e delle ricette "antiche" che riescono a
dare i sapori di un tempo.
Fra i piatti più caratteristici non si può dimenticare la Polenta, che viene servita con i crauti, ma si accompagna bene anche a lucaniche, carrè o puntine di maiale ed è un classico dell'inverno.
Poi, se l'autunno ha riempito la vostra dispensa di funghi, in inverno potete usarli per preparare le deliziose brise nel brò brusà.
I famosi canederli, che sono grossi gnocchi di pane che vengono preparati con alcune varianti rispetto a quelli dell’Alto Adige, possono essere cotti nel brodo, oppure serviti anche asciutti con burro fuso o con il ragù.
Ed infine lo Smacafàm viene preparato in molte case per chiudere degnamente il carnevale.
La ricetta varia a seconda delle vallate e può essere preparata sia con la farina bianca, che con quella di grano saraceno.
Fra i dolci il più conosciuto è sicuramente lo Strudel, ma anche la dura e friabile torta di fregolòti riscuote notevole successo!
Nel periodo di Natale lo Zèlten, caratteristico dolce ricco di frutta secca e candita, delizierà i vostri palati.
Si pone a scaldare l'acqua, salandola.
Quando avrà ben preso il bollore, si comincia a versar a spaglio, ben mescolando perché non si creino grumi, della farina di granoturco di grana piuttosto grossa e di ottima qualità.
Si procederà a mescolare intensamente fino a che la polenta risulterà abbastanza densa.
Si continua a cuocere, frequentemente rimestando, per una quarantina di minuti.
Se il paiolo è ottimo, cioè di rame in spessore consistente, si vedrà la polenta staccarsi dal metallo.
Oltre alla classica polenta tradizionale montanara, quella di mais gialla e cotta ben soda, da non dilagare
assolutamente sul tagliere, anzi quasi da rimbalzarci sopra, è altrettanto vero che le polente molli, quasi pappe
da sorbire a cucchiaiate assieme al latte freddo o condite con la ricotta vecchia e il burro cotto o ancora col
capo di latte o addirittura dolcificate, al miele per i piccini e col mosto del vino nuovo, per gli adulti nelle
feste ottobrine, siano esse anche bianche, bige o miste, tutte sono legittime figlie di una tradizione che ha
sempre messo, davanti alle mode la dignità dell'Uomo, anche attraverso il suo rapporto col cibo.
Il rapporto tra la quantità di farina e d'acqua non è determinabile, in quanto variabile a seconda sia della qualità della farina stessa, sia dal risultato che si desidera ottenere (in pianura si fa la polenta più "tenera" che in montagna).
Si considera indicativo, utilizzare un peso di farina pari ad un terzo del peso d'acqua
Una specie di polentina molto tenera vien fatta con le stesse modalità della polenta "maggiore" badando egualmente di mescolare molto bene al principio per far sì che non si creino grumi (pòtoi) e lasciata poi molto molle a bollire per tre quarti d'ora circa.
Vi è chi al posto della sola acqua, modifica la base ponendola a bollire con una parte (1/4) di latte.
A cottura ultimata si versano i patùgoi nella zuppiera e si prepara accanto una scodella di latte freddo.
Il piatto va gustato creando di volta in volta una cavità nella polentina in cui si versa col cucchiaio il latte freddo prelevato successivamente dalla scodella.
Si raccoglie poi questa e quello assieme, rapidamente mangiando, in modo che il latte non abbia il tempo di riscaldarsi ma crei nel palato un piacevole contrasto.
Allo stesso scopo, con la polenta fredda, si usa latte caldo.
Lo scòt (scotto, non cotto) è quella specie di brodetto che si ottiene versando la farina di granoturco a spaglio nell'acqua bollente già salata mentre si fa la polenta (prima che questa cominci a diventare troppo cremosa).
A questo punto lo scòt si toglie e si usa in diversi modi particolarmente unendolo a condimenti in fase di rosolatura in modo da formare con essi un piacevole e denso sughetto.
Il potere sgrassante dello scòt fa sì che si possa gustare in modo migliore sia la pietanza che il sugo il quale acquista un sapore autonomo.
Si usa particolarmente perciò con piatti grassi (salsiccia, salame, maiale, lumache, ecc. in tegame).
Era usanza di mangiare talvolta il solo scòt mettendolo in una scodella col burro fresco tipo patùgoi o con la puina seca grattugiata sopra (la pasàia zoldana).
E' similare ai patùgoi.
La polentina cotta in acqua e latte è, alla fine, versata calda nella zuppiera e condita con burro crudo o anche cotto (non rosolato).
E' consigliabile l'aggiunta di buona ricotta stagionata o formaggio piccante, grattugiati.
Le farine possono essere miste (granturco-frumento, o granturco-orzo).
Si prepara una polentina come per i patùgoi.
Dopo circa mezz'ora di cottura si comincia a travasare la polentina nelle zuppiere alternandola a strati di abbondante scòta cioè ricotta grattugiata e brama, ossia panna.
Si cosparge alla fine di burro ben rosolato e si serve in tavola.
In Comelico la famiglia spesso attingeva ad un solo particolare piatto detto ciosna.
Si tiene la polenta tenera e si versa in una terrina imburrata alternandola a strati di sughetti vari (carne, pollame, cacciagione,
stufati, umidi) spolverati di formaggio piccante grattugiato e guarniti di fiocchetti di burro.
Si pone poi al forno e poco dopo si riserve a fettone.
Si prepara una polentina di farina gialla piuttosto tenera fatta con tre quarti di latte ed un quarto di acqua.
Si imburra una teglia e si dispone un primo strato di polenta sul quale si grattugerà dell'abbondante puina infumegada per poi versare del burro fuso brunito.
Si procede poi analogamente con altri strati di polenta, puina infumegada e burro fino all'esaurimento degli ingredienti.
Si pone in forno infiocchettando superiormente l'ultimo strato di ricotta o semplicemente si bagna di burro fuso e si serve direttamente.
Ricotta e latte erano, un tempo, di capra, da cui il termine caorésa.
La polenta fredda avanzata si sminuzza e si impasta con un cucchiaio di farina bianca.
A palline si versa nell'acqua salata bollente e quando gli gnocchi vengono a galla si scolano e si condiscono in un piatto con abbondante ricotta affumicata grattugiata (o formaggio piccante) e burro fuso imbiondito e aromatizzato con salvia.
Gli gnocchi come sopra si possono porre a bollire in latte ricavandone una minestra (anche dolce se si aggiunge zucchero).
Si imbiondisce in pentola del burro aggiungendo quindi della ricotta affumicata a pezzetti o sbriciolata o grattugiata grossa.
Quando il composto è ben rosolato si versa dentro la sgòdia, una polentina di farina gialla ancora scotta e liquida (vedi scòt).
Si mescola il tutto per una quarantina di minuti come per la polenta normale.
La polenta avanzata si sminuzza e si rimette in paiolo con del latte fino a che, sobbollendo, tornerà una crema omogenea.
Si serve allora condita con ricotta affumicata piccante (grattugiata) e burro fuso.
Si tagliano a pezzi le patate e, dopo averle sbucciate e ben lavate, si lessano non completamente in acqua salata scolandole.
Si travasano quindi in un tegame in cui si sarà fatto imbiondire un pesto finissimo d'aglio e cipolla assieme a del burro (talvolta anche trito di lardo).
Si condisce con sale e pepe e si aromatizza con salvia.
All'ultimo momento si schiacciano con la forchetta, a mo' di purea, formando una polentina.
Si bollono in un paiolo i fagioli (dopo averli ammollati e scolati dell'acqua di ammollo) assieme a delle patate (con la buccia ben lavata).
A cottura ultimata si tolgono le patate, si pelano e si passano allo staccio rimettendole nel brodo con i fagioli e mescolando per scioglierle.
Si aggiunge mano a mano la farina di granoturco (talvolta frammista a farina di frumento) mescolando alacremente e continuando come per la polenta tradizionale.
Un tempo, chi poteva, aggiungeva, in fase di cottura, un bel po di cipolla lasciata imbiondire in un bagnetto di lardo pesto; erano gradite anche aggiunte di altre erbe aromatiche e magari, di qualche acciuga salata.
Il composto, dopo un'ora circa, si staccherà dalle pareti del paiolo e sarà molto consistente.
Il pendolón era pasto tipico dei pastori lamonesi che per comodità di viaggio lo sistemavano dentro una manica della giacca.
Di qui pendolón, penzolante.
Similmente al pendolón o alla polenta inpatatada o infasolada si prepara anche unenedo castagne rinvenute in latte (oltre a patate e fagioli) ed un condimento di cipolla, lardo, salame, salsiccia, e così via.
Tenuta durissima, era un tempo cibo di lunga durata che si ammollava nel latte prima di mangiare.
Chiaramente era pasto da pastori o nomadi.